martedì 15 ottobre 2013

Le Rose coprisuolo Tantau che superano i test di resistenza in Italia

Da tempo che vi è la  necessità di progettare giardini che non richiedano troppe cure e ingenti quantitativi d’acqua.
In un Istituto agrario di Faenza si studia la capacità delle rose di crescere senza acqua, trattamenti e potature. Tra il catalogo di Tantau due di queste hanno superato la prova: ‘Pearl Mirato’ e ‘Rody’. Sono veramente pochi a saper dire quali piante sono da preferire e a consigliare le  scelte agronomiche da fare nel concreto. Per ottenere questi risultati le rose sono state piantate da ottobre a gennaio e bagnate solo la prima estate. Dopo 5 anni sono state sottoposte a una potatura meccanica, con il tagliasiepi, riducendo la chioma della metà sia in altezza che in larghezza. E’ stata data una rifinitura a mano ai grossi rami slabbrati, sono stati tagliati quelli secchi a partire dal colletto ed è stato spruzzato del solfato di rame, in modo da prevenire le malattie crittogamiche. Questo trattamento, l’unico a cui sono state sottoposte, è stato fatto ogni inverno sui rami spogli e sono state tenute in osservazione per 6 anni. Nella bella stagione sono stati contati dagli studenti il numero di fiori ed è valutato il loro stato di salute. Una volta l’anno, a ottobre, è stata misurata la loro dimensione. Di queste rose si sa il loro ‘indice di fioritura’ o meglio la loro capacità di fiorire: dato importante se si vuole utilizzare queste rose in grandi spazi ove si vuole utilizzare il colore e si veda a distanza.

Conclusioni da parte di questi ricercatori:

Pearl Mirato:è la mutazione rosa chiare della cultivar fucsia ‘Mirato’, selezionata da Tantau a fine anni 90. Come la forma originaria, al quale può essere associata per creare aiuole con una gradevole armonia cromatica, questa rosa forma cespugli compatti alti circa 1 m, che possono espandersi in larghezza fino a 2 m. Il fogliame è verde lucido, lucido e sano. Auto pulente, produce pochi cinorrodi ma emette continuamente nuovi germogli dal colletto, che determinano una fioritura a flussi da inizio giugno a ottobre inoltrato.


Rody: Ottenuta dai tedeschi Tantau nel 1988 e commercializzata a partire dal 1994 anche con il nome ‘Vicking’, è una tipica rosa da paesaggio molto vigorosa e sana. I fitti cespugli sono alleggeriti dai nuovi germogli ricurvi che svettano raggiungendo l’altezza anche di 1,5 m se non potati. Sempre fiorita, offre un prolungato effetto cromatico per via del vivace colore rosso chiaro dei fiori. Che però alle nostre latitudini, per via di una forte insolazione, scoloriscono un po’, dando vita a screziature che tingono i petali di bianco.



Da sottolineare che questi esperimenti sono quasi paragonabili ai severi test di certificazione ADR che vengono fatti in Germania.

lunedì 14 ottobre 2013

CANAPA, PIANTA SALVIFICA, PERCHÉ FU PROIBITA IN ITALIA?


Di solito di una legge severa si dice che è "fascista", così non è però per  la coltivazione e l'uso della canapa. Infatti la proibizione scattò con l'avvento della "repubblica democratica" mentre durante  il ventennio il governo la considerò una risorsa primaria.
Canapa, pianta salvifica, perché fu proibita in Italia?
Fra le clausole "segrete" a cui l'Italia dovette sottostare alla fine della seconda guerra mondiale, c'era quella  di interrompere la produzione di canapa (le sementi furono cedute alla Francia o distrutte), con la scusa di "impedire che la gente la usasse come doga". La proibizione… avvenne “di fatto” - (non risulta nei trattati ufficiali) dopo la visita di Alcide De Gasperi negli Usa e l’entrata dell’Italia nella alleanza atlantica - e  da allora il governo italiano mise fuori legge la coltivazione.
Alcuni "maligni" riscontrano che la cosa coincise  con la contemporanea "importazione" delle fibre sintetiche (ricavate dal petrolio)  che potevano affermarsi solo con l’eliminazione della canapa, la cui fibra tessile naturale è conosciuta da millenni.  Inoltre i petrolieri USA erano totalmente contrari al possibile uso combustibile di questa pianta miracolosa.
Ovviamente tutto passò in forma mascherata, alla base c’era la pressione politica americana, in chiave proibizionista, contraria alla produzione di elementi vegetali che potessero avere usi "narcotici". In effetti c'è da considerare che la canapa in se stessa è una sola pianta, non vi sono differenze sostanziali fra le piante denominate: sativa, marijuana, ganja, cannabis, etc. La specie è unica e si feconda tranquillamente con qualsiasi consimile di qualsiasi provenienza.  La sola differenza sta nella selezione che viene fatta: o in funzione della produzione di fibra tessile e alimentare o in funzione della produzione di cannabinolo.
Il luogo di coltivazione ovviamente a tali fini è importante, più si scende verso l’equatore e maggiore è la quantità di cannabinolo mentre è inferiore nelle zone temperate e fredde. Dal punto di vista del cannabinolo faccio un esempio con gli zuccheri presenti nei grappoli della vite. In Sicilia, Grecia, etc. si produce vino a forte tasso alcolico mentre in Germania, Inghilterra, etc. a malapena si raggiungono i 6/7 gradi, tant’è che in passato la Guerra dei Cent’anni fra Inghilterra e Francia in realtà nascondeva la volontà di accaparrarsi le piane della Bretagna e del Midì in cui si produceva buon vino, che era molto ricercato in Inghilterra… soprattutto da
nobili e dalla “corona”, mentre il volgo si accontentava della birra….
Questi particolari,  ci fanno capire come mai in Germania sono in vigore forti aiuti per la coltivazione della pianta ed invece in Italia sono quasi assenti. Anzi siamo ancora in regime di illegalità. Ritornando al periodo pre-bellico, in Italia esistevano paesi che specificatamente vivevano di questa coltura. Ovviamente  la canapa veniva usata anche per fumigagioni e per tisane,  oltre che per farci lenzuola, braghe e corde,  ed anche per ragioni salutistiche e curative (il sistema medicinale antico era basato sull'uso della canapa come additivo fisso).
La canapa è una risorsa naturale fondamentale ed  una delle piante più produttive in massa vegetale di tutta la zona temperata: una coltivazione della durata di tre mesi e mezzo produce una biomassa quattro volte maggiore di quella prodotta dalla stessa superficie di bosco in un anno. La canapa è stata, tra le specie coltivate, una delle poche conosciute fin dall'antichità sia in Oriente che in Occidente.
Oggi la canapa potrebbe sostituire non solo le fibre sintetiche ma addirittura essere una valente fonte alimentare  e di disinquinamento ecologico, soprattutto per rivitalizzare i campi sfibrati e desertificati dalla coltivazione intensiva del tabacco (questa sì che è una vera droga e nociva al massimo) o da altre coltivazioni intensive, infatti non è un mistero che la canapa (come l’ortica) è capace di riequilibrare le qualità organolettiche dei terreni.
di Paolo D’Arpini - Rete Bioregionale Italiana

domenica 13 ottobre 2013

POTATURA: NUOVI RIFERIMENTI NORMATIVI A SUPPORTO DEL VERDE URBANO


di Mimmo Ciccarese


La gestione del verde urbano, è un vero cruccio per le amministrazioni pubbliche, specie quando esso non è supportato da linee guida in grado di disciplinarlo. 
Di certo è che in molti stati del nord dell’Europa, degli Stati Uniti e in molti paesi asiatici esistono, da qualche tempo, delle “condizioni tecniche di massima per la cura degli alberi”
Sono regolamenti collettivi che supportano il collaudo e l’adeguatezza dell’affidamento del management del verde pubblico. 
In alcuni capitolati d’appalto, non si precisa con sufficiente chiarezza, cosa si descrive con la frase “cura di un albero” e spesso si sottintende che si debba recidere senza indulgenza o con irrazionalità; recuperare con interventi di riforma situazioni illogiche quando il danno fatto alla pianta è ormai irreversibile è costume assai diffuso. 
Il limite tecnico che firma il termine “taglio della chioma”, allora, spesso corrisponde a un’energica “spalcatura” o “capitozzatura”, senza ben spiegare intensità dei tagli o i costi dell’opera.
È perciò, sempre conveniente che nei progetti del verde urbano si rediga un valido “disciplinare delle prestazioni”, secondo il “regolamento degli appalti e dei capitolati”, che dettagli gli interventi di manutenzione con la dovuta diligenza o che preveda il giudizio di agronomi e forestali.
Quest’ultimo proposito, si rafforza oggi, con la legge 10 del 14 gennaio 2013 con la quale gli uffici anagrafici comunali dovranno fornire dettagli circa la piantumazione e registrare come si farebbe per una nascita. La legge obbliga ogni comune a censire e classificare gli alberi piantati, sia in aree di proprietà pubbliche che private e vincola il suo rispettivo sindaco a rendere e rapportare 60 giorni prima della scadenza del suo mandato, il “bilancio arboreo” che convalidi e dimostri impegno, cura e stato delle aree verdi.  
Con la tale norma, adesso, abbattere o danneggiare una pianta monumentale o un’alberatura potrebbe diventare una condotta subordinata a spiacevoli ammende e il controllo strumentale e tecnico, dovrebbe diventare un obbligo prima della consegna di un appalto di potatura.
La rettitudine amministrativa garantisce e ottimizza anche la funzione estetica, ludica, paesaggistica e igienico sanitaria e il groviglio normativo in questi settori non è per nulla favorevole. I buoni modelli di etica ambientale per tutti questi motivi potrebbero non essere rispettati e l’indifferenza dei comuni alla riqualificazione degli spazi naturali potrebbe aumentare. 
Dai dati di Legambiente nelle città italiane la superficie al verde per ogni abitante è di circa 10 m2, mentre l’ISTAT del 2010, nel complesso dei comuni capoluogo di provincia, gli italiani dispongono di 106,4 m2 per abitante di aree verdi. Secondo gli stessi rilevamenti, le città di L’Aquila (2.793,8 m2 per abitante), Pisa (1.514,4), Ravenna (1.234,8) e Matera (1.193,1) risultano i capoluoghi di provincia più “verdi”. 
Le amministrazioni più virtuose si sono riqualificate in tempo pianificando e connettendo le proprie visioni agli smisurati riferimenti legislativi nazionali o regionali ma nonostante ciò gli sforzi compiuti spesso non sono sufficienti.

La varietà dei regolamenti e dei riferimenti legislativi rileva come sia inevitabile, oggi, normalizzare delle linee guida comuni che sostengano e quotino una corretta gestione del verde urbano. Una buona linea guida, quindi, dovrebbe favorire la tutela, il miglioramento e lo sviluppo del benessere vegetale nelle aree comunali; è un obiettivo da statuire a priori oltre che uno stadio di civile sussistenza. Un valido suggerimento sarebbe di istituire attestazioni che certifichino le competenze richieste, previo superamento di un esame, onde evitare il rischio di potature irrazionali in ambito urbano e agricolo; le amministrazioni più attente già si adoperano per ottemperare i nuovi doveri.